mercoledì 28 luglio 2010

Malinconica Sera

Sostanzialmente

Ho bisogno di scrivere.

Uscire, eliminare

Scrivere, com’ebbrezza.

Filosofica, poetica, teorica

Virtuosa ed alcolica.

Ebbrezza:

Unico modo per star bene

Per essere a posto.

Non pensavo fosse così.

Non pensavo capitasse a me.

“[…]

la poesia è stata inventata perché così sei costretto a soffermarti ad ogni riga. Le parole acquistano così maggior significato, capisci? La poesia toglie la frenesia della lettura. La poesia bisogna leggerla ad alta voce, bisogna gridarla

[…]”

Sono qui, ora

E ho ricominciato a fumare

A bere, a suonare

Ad amare, ad odiare

A scrivere (purtroppo).

E il niente e Simone e Ilaria

Piacere!

Piacere di fare la vostra conoscenza!

Vengano signori!

Cazzo, piacere. Piacere, il cazzo!

Parola semplice

Semplice commiato.

Insomma: parola falsa

Insignificante

Ipocrita.

Mi brucia l’occhio

La sigaretta, il fumo.

Mi brucia la gente che ho dinnanzi

Cha danza, che parla

Che finge di divertirsi

A questa cazzo di festa.

Mi sto bruciando.

Brucio.

Avrei voglia di

Tuffarmi in questo asfalto!

Tre, forse quattro metri

Ci separano dall’amore eterno

Dalla fusione.

Ma nemmeno questo riesco a fare.

Dovrei tornare a casa.

Starei qui per sempre.

Vorrei parlare con un amico.

Vorrei un amico.

Penso che, ora, mi sento un merda, va di merda!

Penso che questa città (civiltà) sia una merda.

E a questo punto, il tonfo secco e disumano di una persona interruppe la mia ebbrezza ubriaca con parole tanto amichevoli quanto aride. A questo punto cagai fuori dalle mie labbra parole che non avevano niente a che vedere con i pensieri distorti che si generavano nel mio cervello. Semplice falso commiato. Educazione, forse. Questi mi parlava, probabilmente erano in due che mi parlavano. Il mio cervello vagava, perso, in un affascinante mondo parallelo che il sacro, secco buon vino sapeva regalarmi in quella triste serata. Ma non fui molto bravo a mascherare questo mio modo di ribattere alle domande spurie che mi venivano sistematicamente poste ed inciampai e caddi e se ne accorsero.

Niente di grave, non sia mai, ma risposi forse troppo sgarbatamente?

No, non credo. O anche se fosse stato, mi aveva turbato quell’irrompente interruzione e l’oblio di dover interloquire cordialmente con qualcuno di cui non conoscevo nemmeno il nome. Non me ne fregava niente di niente parlare con loro. Non avevamo e non avremmo avuto comunque niente in comune, niente di importante da dirci.

Decisi quindi che sarei stato io a togliere il disturbo.

Non chi, questo disturbo, l’aveva in qualche modo provocato.

My One and Only Thrill










MOOT nasce come progetto noise rock pensato da Daniele e supportato da Davide nel maggio 2009. Dopo pochi mesi entra a far parte del gruppo Mattia, il bassista. Dopo qualche mese di sala prove, MOOT esordisce con i primi pezzi dalle sonorità graffianti e viene registrata in casa una demo composta da quattro pezzi in una full immersion durante un fine settimana. Vengono apprezzate le performance dal vivo dei tre musicisti, che si esibiscono in alcuni locali del trevigiano e per festival organizzati nella provincia di Treviso. MOOT inizia a generare nuovi pezzi e nuove poetiche. MOOT entra in studio di registrazione a fine 2010 per registrare il primo EP.
MOOT (My One and Only Thrill) prende il nome dal titolo di un album di una jazzista francese Melody Gardot.