venerdì 29 luglio 2011

Eva (Un breve monologo)

(Vestito normale, giovanile. Si presenta in piedi di fronte al pubblico. Man mano che continuerà a parlare, si procurerà degli strappi sui vestiti, si dipingerà un occhio nero, si dipingerà del sangue attorno alla bocca e si disegnerà delle ferite sul corpo. Il tutto sempre muovendosi sul palco, come se nulla fosse. Il tono di voce è rilassato, spensierato)
La cosa strana è che me ne rendevo conto. La cosa più curiosa è che intuivo già, in qualche modo, come sarebbe andata a finire. Non che ne fossi abituato o che si possa dire che finisce sempre così, ma era facile capirlo vedendo me e vedendo loro. Fisicamente dico. Me lo implorava anche lei, dall’inizio, ma era troppo forte la voglia. Sentivo che alla fine sarebbe andata male per me. Sapevo che quelli lì, non era gente con cui si potesse ragionare. E un occhio nero e il mal di stomaco, in qualche modo, li avevo previsti. Però era troppo forte la voglia.
Già.

Quando ti capita di nuovo un’occasione così? L’opportunità di dire liberamente, a viso aperto, ciò che pensi. Sembra quasi strano, dovrebbe essere nella norma. la libertà di parola, intendo. A me vengono sempre dopo le frasi che avrei potuto dire e i modi con cui avrei potuto rispondere. Si, mi vengono sempre dopo. Perché poi inizio a rifletterci, valuto a mente lucida la situazione passata, cerco le parole più adatte per controbattere, per creare un dialogo insomma. Cerco di essere intelligente, di applicare una sorta di maieutica nei confronti di chi mi sta parlando. Alle volte mi perdo anche via con i ragionamenti, mi faccio le battute e mi rispondo da solo. Batto e controbatto e a volte passa veramente del tempo. Il bello è che cerco di mettermi dall’altra parte, dalla parte di chi mi sta portando le sue ragioni, anche in modo violento – come oggi. E in questo modo rifletto anche sulle mie posizioni. Però mi dico sempre che non devo entrare in un loop mentale di nervosismo e incomprensione, ché poi mi carico di negatività e, alla fine, chi ci resta male sono solo io. (Sussurrato, come se fosse una voce fuori campo) Tipo come adesso. (Normalmente) E a volte a fare questi giochi mi compiaccio anche, perché sono una sorta di ragionamento su un argomento che, altrimenti, non approfondirei. E poi, credo che mi potranno servire – i discorsi fatti tra me e me, in un botta e risposta mentale – perché magari un giorno riuscirò a rispondere veramente a tono a qualcuno. Si, diciamo che mi sto esercitando. Poi quando il cervello avrà capito il meccanismo, sarà tutto più facile. Ne sono certo.

Per ora continuerò a fare come ho sempre fatto: ho anche comprato le scarpe da corsa nuove! Perché so correre molto bene e molto forte se voglio.
Sì, se voglio…
Meglio dire che se è il caso, corro molto forte e difficilmente uno mi riesce a prendere. Non è essere codardi, è essere astuti: fisicamente non potrei rispondere a delle offese, non sarei in grado di dare un pugno o allungare un calcio. Non mi pare di averlo mai fatto. Almeno fino ad oggi. Insomma, me la sono sempre data a gambe – visto che sono molto bravo in questo. E ne sono sempre andato fiero dei miei tempi personali: ho un buon appoggio e una discreta resistenza. E non sono male negli scatti. E ho una discreta resistenza, quindi posso correre per molto tempo.
Però adesso mi fa male la gamba. Credo mi faccia male. Cioè, non sento male ma ho la sensazione che non sia propriamente sana.
Aspetta che ci do un occhio… (Non guarda e non tocca la gamba. Continua a fare esattamente quello che faceva prima. Silenzio per qualche secondo).

Ma oggi non potevo proprio correre. Avrei anche potuto, a ben pensarci. Però è stata troppo forte la voglia. E a sentirti supplicare e piangere così, ho sentito il sangue che bolliva dentro le vene. E continuava a bollire anche quando stavo cominciando ad avere freddo.
Quando il sangue bolle, non senti più caldo o freddo. Dopo forse lo senti, si ecco. Probabilmente come si era scaldato così si stava raffreddando. Comunque non senti granché. Oggi, ad esempio, continuavo a sentire la tua voce. E la strana cosa è che non sentivo distintamente le loro voci. La tua sì, le loro no. (Pensoso) Che strano! (Di nuovo spensierato) E ricordo anche un’altra cosa: sentivo come un peso nello stomaco – e sì che avevo mangiato. Beh, sentivo un peso nello stomaco che prima veniva da dentro poi, ad un certo punto, è stato più esternamente che mi faceva male. (Non si tocca né indica lo stomaco, ma continua a fare ciò che stava facendo prima) Proprio qui, vedete? In questo esatto punto. Beh, effettivamente il colpo non è poi stato proprio leggero. È che quando piangi così io subito non sento dolore. Magari dopo. Magari lo sentirò tra un po’. Perché adesso non lo sento più. Credo di non sentirlo. Ho smesso di sentirlo quando tu mi hai detto che mi amavi, con la voce strozzata. O ero io che sentivo male. (scherzando, quasi ridendo) Hanno iniziato a fischiarmi le orecchie dopo il terzo o quarto colpo…
(un po’ stupito) Ecco un’altra cosa buffa! Prima sentivo te e non loro, poi pian piano ho iniziato a sentire anche le loro voci. Confuse, sì, perché si parlavano uno sopra l’altro ed era proprio un gran casino. Non si distinguevano bene le varie voci. Comunque la tua voce la sentivo bene. E che bella giornata è stata oggi. Il sole era proprio caldo e hai avuto proprio una bella idea a propormi di andare a fare una passeggiata lungo il fiume. Hai visto anche i cigni come sembravano spensierati? Ci voleva proprio un po’ di ossigeno. Poi si è fatto tardi e siamo tornati indietro per la stradina che costeggiava il fiume. Dovevamo tornare perché ormai era scuro. Però io volevo stare ancora un po’ fuori, mi piaceva troppo stare con te così immersi nella natura e pensare a noi, alla nostra casetta, al nostro futuro insieme. (felice) E a te piace tanto quanto ti dico che saremo dei nonnini proprio simpatici e che ci vorremo ancora tanto bene come adesso… (normale, come prima). Poi quando ti racconto delle mie idee e dei progetti per la nostra casa e per i nostri bambini, tu ti illumini sempre. Perché siamo in sintonia, ci capiamo anche senza parlarci quasi. Abbiamo gli stessi gusti, le stesse idee. Siamo proprio una bella coppia tu ed io. E, come dici tu, la nostra casetta sarà proprio bella!
E ci siamo persi in questi discorsi e abbiamo parlato anche di altro: di un sacco di cose, che adesso tutte non me le ricordo.

(si guarda intorno, non capisce. Guardando il pubblico)
Ma tutta questa gente qui? E, a proposito, tu dove sei andata? Ah forse mi starai aspettando a casa. Caspita, mi devo essere trattenuto un po’ troppo con quei ragazzi. Infatti, ad un certo punto non ti ho più sentita – non ho sentito più niente a dire il vero. Non è che ti sei arrabbiata con me? (un po’ preoccupato, quasi supplicante perdono) Amore, proprio non mi sono accorto…se ne sono andati via tutti e sono rimasto qui da solo! Ma adesso arrivo amore, non ti preoccupare.
Sento tante persone intorno a me adesso. Ma non è che sono già a casa?
Ad un certo punto la tua voce è cambiata molto rispetto a prima, quando stavamo passeggiando. Prima avevi una voce dolce e calda e poi, quando quei ragazzi ci hanno fermato, si è un po’ rattristata. Infine hai iniziato a piangere e a urlare.
Noi non fumiamo, forse si saranno risentiti per questo quei ragazzi, perché non avevo un accendino. Ti hanno preso le braccia per verificare che tu ne avessi uno. Ma per fortuna sono stato diplomatico. Gli ho detto che non ne avevi uno, magari avremmo potuto cercarlo insieme, un accendino. O qualcosa di simile. E loro non si sono scoraggiati, nemmeno quando tu hai iniziato a piangere. Però devo aver detto qualcosa di sbagliato, perché si sono un po’ irritati. Sì. Non sono nemmeno riuscito a finire la frase che ho sentito un gran mal di testa. Credo mi abbiano colpito con un bastone o qualcosa di simile. Lì tu hai provato a gridare aiuto, ma ti hanno subito tappato la bocca e ti hanno dato una ginocchiata in pancia. (sempre con un tono tranquillo) È stato lì che ho iniziato a sentire il sangue caldo. E non solo sul mio viso, anche dentro le vene. C’era anche qualcuno che rideva, sghignazzavano in più di uno. E tutto per un accendino! Io ho provato di nuovo a parlare ma non sono riuscito a dire niente. Perché, mi devono avere colpito la gamba con il bastone e sono caduto (cade inginocchiato. Da ora in poi cadrà pian piano a terra fino a rimanere disteso. Ora è inginocchiato a terra). E ho visto che uno di loro ti ha toccato il seno. E poi anche più giù. Tu gridavi aiuto ma io non riuscivo a muovermi. Ero come immobilizzato. Forse piangevo in silenzio. Sicuramente mi è dispiaciuto non riuscire a muovermi – avevo dolore un po’ dappertutto – e comunque c’era qualcuno che mi teneva per i capelli (inclina la testa all’indietro per qualche secondo poi, di scatto, la porta in giù e poi normale). Tu, due persone ti tenevano ferma per le braccia e un terzo ti toccava prima il seno, poi più giù. Non ho visto se ti hanno spostato l’intimo. Perché gli occhi mi bruciavano. Forse era il sangue misto a lacrime. Io comunque, appena ho visto che ti toccavano, ho cercato di alzarmi e di liberarmi dalla presa. Ma continuavano a tirarmi calci sulla schiena (si accascia: rimane appoggiato con le ginocchia e con le mani a terra). Per fortuna quell’uomo in barca ha puntato il faro. Chissà che faceva quella sera con il suo barchino lungo il fiume. Magari era andato a pescare. Magari si era solo fatto un giro domenicale. Comunque io ho visto un fascio di luce e ho sentito le voci dei ragazzi diverse. Forse preoccupate. Sembrava stessero scappando. Fatto sta che la luce è diventata sempre più intensa. Non capivo se provenisse dalla barca o fosse qualcos’altro. Più la luce si avvicinava e sempre più le voci erano soffuse. Ho sentito una mano diversa da quelle di prima su di me. Sui miei occhi e sulle mie labbra. Dal calore della pelle so che eri tu amore. Volevo dirti che stava arrivando qualcuno che ci avrebbe aiutato. Volevo dirti di non preoccuparti. Ma sono riuscito solo a dirti “ti amo”.
Tu mi hai detto “per sempre”.
E poi ho visto tutto bianco. (silenzio)

(steso a terra, immobile con il volto rivolto verso la scena)
Sento che mi fa male la testa. Credo mi faccia male. Cioè, non sento male ma ho la sensazione che non sia propriamente sana.
(rimanendo steso immobile a terra, gira il volto verso il pubblico)
Ma tutta questa gente qui? E, a proposito, tu dove sei?
(rimanendo nella stessa posizione, chiude gli occhi)

giovedì 28 luglio 2011

I miei occhi

Di sere fresche, questo nord est pianeggiante ne ha molte. È l’umidità che rende i giorni appiccicosi e stanchi, mentre le sere portano i corpi a gustarne il sollievo quasi a rinvigorirsi di voglia di stare all’aperto. Sono sere in cui il celo è scuro e limpido e costellato da miliardi di scintille ammiccanti, che disegnano mitologie ed epiche e probabili ed improbabili forme di vita. In quelle sere ti vien voglia di stare seduto sull’erba, di stenderti e guardare su, alla ricerca di una stella polare (la tua, se possibile) come se fossi alla ricerca di una rotta in questo immenso mare di sogni e desideri. E tutt’attorno si propongono profumi di verde scuro e di terra.

Riconoscere le principali costellazioni non mi è mai stato troppo difficile e nel lasciar vagare i miei pensieri nell’osservazione, riesco a scoprire sguardi antropomorfi, decisamente teatrali e spettacolari, che si muovono con le velocità con cui il vento puntualmente li guida. E vedo sguardi pensierosi, alcuni sorridenti, alcuni assumono ghigni diabolici e tutti si materializzano, sfilano e lentamente scompaiono nel loro destino.
È un gioco che ho sempre fatto, fin da quando ero bambino. Ma ci fu un momento in cui mi resi conto che mi riusciva sempre più difficile cogliere forme strane, forme diverse da quelle cui ero quotidianamente abituato. Guardando il cielo non riuscivo più a scorgere realtà immateriali. Forse i miei occhi erano cambiati, forse erano diventati adulti, forse…c’era qualcosa…ai miei occhi, i miei occhi avevano subito una trasformazione.
Forse le ore davanti allo schermo del pc, ma no, non ne passavo così tante!
O davanti alla televisione? No, non l’ho mai avuta (non mi sono mai piaciute le bugie).
Forse…ecco, l’inquinamento luminoso!
Continuava ad essere faticoso guardare e cercare di vedere.
Decisi di prendere una soluzione drastica: via gli occhi! Ne volevo di nuovi, della stessa marca e modello di quelli che avevo da bambino.
Ma, non c’era modo di trovarne e soprattutto non c’era modo di sostituire gli occhi!
Allora mi guardai dentro, cercando di ripescare qualche segno, qualche suggerimento per poter tornare a vedere come prima.
E trovai tante emozioni, tanta felicità, tanta spensieratezza e semplicità. Trovai una buona dose di umiltà, e tanto, tanto amore. Amore per la vita, amore per quello stesso cielo che guardavo (da grande) e non vedevo.
Trovai anche qualche giorno buio e qualche lacrima di dolore. Ma trovai anche i miei sogni, i miei giochi, le mie commozioni.
Allungando la mano, ne presi un po’ e poi ancora finché cominciai a vedere nel cielo strani animali, sorrisi antropomorfi, navicelle spaziali, treni, nuvole vecchie e nuvole più giovani e storie e signorotte che parlavano e un vecchio austero con la sua pipa in mano, contemplante chissà cosa, e un bambino in spalle al papà che parlava con un piccolo cagnolino fermo di fronte a lui.
E il cielo estivo e violaceo riprese la forma splendente della mia esistenza.

Perso nella contemplazione profonda, cominciai così a trovare i fondamenti della mia escatologia.