martedì 23 novembre 2010

Quando si diventa folli

Perso!
È forse proprio così che ci si sente nel vuoto?
O forse mi sono solo confuso…
Ma sono fuori, fuori!
Non ho ormai più un senso sicuro
Certo, concreto, stabile

(Non ho in me più niente, tranne te
Non ho più senso, non sono più in me)

Era bello sperare
Costruire certezze, logiche e idee
Per generare un senso e per essere normali
Si, cosiddetti normali per tutti
E sani, soprattutto, per tutti

(Non ho in me più niente, tranne te
Non ho più senso, non sono più in me)


Sono anestetizzato sai,
Mi hanno chiuso qui senza di te
Forse perché non c’è spiegazione
All’illusione che vivo in me
Ma sappi che ti cercherò
Ovunque vada, ti troverò
Perché non c’è ragione, non c’è una soluzione
Ma è solo il mondo che si riflette in me

lunedì 15 novembre 2010

I volti elettrici di una città natale

Raccolgo odore nero
incline a penetrarmi in questa sera
a forare gli alveoli della mia fisicità
abbandonata su questo freddo granito invecchiato.

E' più odore di polvere e caffé
che suscita rancori e allergie.

Simili a topi affamati in cerca di un qualche senso di appartenenza.

Non si sprecano voci incerte ed indifferenti.
Viaggi sconnessi, inutili o immaginari
si incontrano su pietre levigate dal passaggio
di molte, molte mani ruvide, sfinite.

Sono impulsi arroganti, volutamente arroganti,
quelli che invischiano nel feddo
e che bucano i vapori e le nebbie di Novembre.

Non c'è scena migliore che si possa aprire
con migliaia di comparse che lentamente
scompaiono in teatri d'alcool e di finitudine.

Si respirano colori strani, questa sera.
Si colgono incertezze rassegnate, questa sera.

Ti prendo la mano per paura di perdermi
in questa sera.

E placido giunge al mio corpo il tuo soffio di
consenso caldo e di cioccolato fondente.
Io chiudo gli occhi quindi, per vedermi meglio
per sollevarti da ogni dubbio circa la mia sterilità.

E quando penso a noi tre e
al libro che hai in mano
ti sento sorridere.

(Per fortuna il dolore non glielo hanno ancora insegnato).

mercoledì 10 novembre 2010

Una nuova regola

Ho una nuova regola,
una nuova idea: tendere al limite!
Tendere al limite: questa la nuova prospettiva!
Spingersi all’estremo
al confine ultimo
a tutti i costi
sacrificando tutto
lottando
impegnando fino all’ultima goccia di energia rimasta
andare ostinatamente avanti
nella direzione stabilita
fino a soffocare
fino a cadere
per poi rialzarsi
e raggiungere la meta!

Ho deciso,
ho cominciato ad eliminare il superfluo
operazione catartica su me stesso
spogliarsi dell’inutilità
dei vestiti sgualciti, vecchi
dell’ingombrante
del superfluo, appunto.
Via la zavorra dalla mia vita!
(per chi ne vuole, la regalo a chili)

Ho deciso di scivolare verso me stesso
discesa agli inferi più intimi di me
e dunque ascesa nei cieli più limpidi
(con te)

Ho deciso di tendere al limite
al limite delle mie forze
delle mie possibilità - sennò che te ne fai di una vita?
Con sempre più potenza
con maggior prepotenza
con sempre più energia, arroganza, voglia, euforia
aumentare la mia entropia, ma quella sana, quella vera!

Tendere al limite fino al limite di me!
Fino alla soddisfazione
fino alla gioia, all’allegria
all’euforia, alla gioia piena
e vera
e viva e ridere di gioia, sì!
Ridere di gioia
Ché oggi è un giorno di festa!

Hemingway

Ho bisogno di Hemingway
Ho bisogno di Hemingway e di un bicchiere di buon vino – rosso
Ma non di Hemingway lo scrittore, no…
Non Hemingway il poeta, no, no…

Io ho bisogno di Hemingway
Dell’uomo Hemingway
Del padre Hemingway
Di Hemingway nonno, ecco
Di lui!
Lo scrittore, il poeta già li conosco
Ho letto molto Hemingway
Ma non l’ho mai conosciuto, lui, Hemingway.

Vorrei berci assieme
Vorrei offrirgli del vino – rosso
Vorrei offrirgli da fumare
Vorrei offrirgli del cibo…

E vorrei chiedergli che ne pensa
Sì, vorrei chiedergli che ne pensa di noi
Di questo mondo
Vorrei chiedergli che ne pensa delle nostre storie
Delle nostre idee
Dell’uomo moderno, della tecnologia di oggi
Della guerra – di oggi
Di questo mondo – di oggi…


Secondo me, ci sparerebbe.

venerdì 22 ottobre 2010

Un fiore

E penso a te
E penso che vorrei scriverti qualcosa di bello
Due parole, un fiore, due parole
Ma che fossero molto
Molto semplici, dico
Giusto due parole per dirti
Due parole per dirti che ...

E invece di scrivere
Sono qui a pensare a cosa ti piacerebbe
Ho sempre voglia di stupirti
Ma non so mai come
E penso che vorrei riuscire
A costruire qualcosa
Qualcosa di grande
Ma di veramente grande per dirti ...

Ed ecco, io ci provo
Ci provo!
Ma non sono mai stato bravo coi regali
Io mi sforzo, ma non so far niente
E ce l'ho dentro questa voglia
Questo bisogno immenso
Questa grande voglia di dirti che ...

venerdì 17 settembre 2010

L'Incubo

Sono ancora a chiederti di poter entrare
Sono ancora a bussare alla tua porta
E' notte fonda, molto fonda
E so che sarà una notte lunga, se non mi aprirai

Era ancora giorno
(più che giorno, era ancora chiaro -come ci hanno sempre insegnato
un sole amaranto spingeva le sue ultime forze attraverso gonfie ed opache nubi di nord)
E una notte improvvisa, crudele è giunta

"S'è fatto sera", pensai, "come faremo ora?!"

(già, come faremo)

Ed è notte fonda
Ed è freddo e buio

E sono corso da te, senza fiatare, senza pensare
Senza avvisarti
Sono corso da te per paura
Di me

E busso alla tua porta "Fammi entrare! Ti prego..."
E sento che tu ci sei
Ma sei ancora distratta

Non eri lì, pronta, ad aprirmi
(ci hai messo un po', è chiaro)
E mi chiedi "perché?"

Ma cado inesorabilmente vinto
A terra

(si cerca il contatto con la terra in questi momenti, proprio come chi muore. Perché la morte è la più grande paura. E' una paura così grande che umanamente solo la terra -nostra Madre- ci può consolare)

E a terra resto immobile
In attesa di un'incantevole avvolgimento
Mi lascio lambire dalle Sue mani

(le Sue esili, impalpabili mani di umido spirito che ti abbracciano, ti avvolgono dappertutto, si fissano in te, nei tuoi vestiti, nella tua pelle, nei capelli, nella carne fin dentro le ossa...e per un po' rimangono)

E quando sento le Sue mani
Lasciare il posto alle tue
Più pesanti
Più umane
Capisco che sta iniziando ad albeggiare.

La parabola del Molle

E' lui!
E' ancora lì, seduto nella melma
E sta ancora compiaciuto
Ignaro della sua sterilità

Si muove! Ah!
Si muove sciatto, Molle!
Sei Molle!

(Molle non lo sa, ma ride tutta la città...)

Ridicolo lui, che politicamente schiatta
Gonfio di fatuità, ipocrita
E nonostante tutto avanza
E nonostante tutto stanca

(Molle non lo sa, ma ride tutta la città...)

Ma io ti farò fuori, prima che tu faccia fuori me
Con la tua volubilità mediocre
Ed io farò fuori te, prima che tu faccia fuori me
Con le tue scenate stupide

Io farò fuori te
Io farò fuori te
Io farò fuori te
Io ti farò fuori...

giovedì 16 settembre 2010

Ho iniziato ad odiare il mondo

Ho iniziato ad odiare il mondo esattamente nell'istante in cui i miei sparuti e impalpabili orizzonti venivano sistematicamente eliminati.
Non riuscivo a capire di chi o di cosa fosse colpa. L'unica cosa di cui credevo di avere la certezza era che questa condizione mi avrebbe fatto diventare sempre più forte.

(O sempre più cadavere)


Da "Il Niente", D.B.

domenica 29 agosto 2010

Metamorfosi di una stella

Ballano nell'orizzonte di un'apparenza lieve
Brillano di luce nel manto cupo di loro madre
E non sbagliano mai la rotta
Specchiandosi per un istante sul mare

Ed io che ho perso ormai troppo tempo
Stando seduto al confine del mondo
Nel punto in cui Mare feconda Terra
Con dolce impetuosità perfetta

(E respiro di te
E respito il tuo sospiro
Nell'avvicinare il tuo corpo al mio)

...e fu così che nell'istante in cui ci baciammo, diventammo stella. Un solo corpo, una sola luce a raggiungere le altre sorelle...

E fu il tuo abbraccio a riportarmi in vita
La tua mano a sollevarmi da terra
Il tuo sguardo, così semplice e sincero
Il tuo bacio a farci svanire
Nella notte che diventò giorno
Violentando le anime che danzavano nel mare
E che vedendoti ti incoronarono loro regina
E vedendoti, ti incoronai mia regina.

martedì 24 agosto 2010

I pensieri vagavano senza forma

I pensieri vagavano senza forma, in modo confuso, cieco, forse solo poco chiaro. Il tramonto, così caro ad amanti e poeti, aveva già congedato le mura fredde che mi separavano dall'esterno vivo della città. gli ultimi raggi di sole, di un sole stanco e pallido, affaticato dalla trascorsa giornata, venivano sistematicamente sconfitti da una massa indefinita di luci artificiali, elettriche (umane).
Avevo già abbassato la tapparella, non del tutto però, perché mi piaceva percepire lievi aliti d'aria che mi riuscissero a salvare dall'eventualità di soffocare qui, dentro queste mura, e che mi illudessero di non essere ancora più rinchiuso di quanto non lo fossi già, fisicamente.
La stanza era buia, piccola, non poi così mesta. il linoleum sorreggeva bianchi muri intonacati da chissà quanto tempo. C'era un letto singolo, sulla sinistra. A seguire, sempre sulla sinistra, un piccolo lavandino di cui funzionava solamente il rubinetto dell'acqua fredda. Di fronte, una finestra da cui entrava, attraverso il vetro, solamente vecchio e sporco cemento. A destra la scrivania di legno e un armadio. Non era male vivere in questi sei o sette metri quadrati. In questa stanza dormivo, leggevo, studiavo, scrivevo, mangiavo, qualche volta ci ho fatto pure l'amore. [...]

(da "Il Niente", D.B.)

mercoledì 28 luglio 2010

Malinconica Sera

Sostanzialmente

Ho bisogno di scrivere.

Uscire, eliminare

Scrivere, com’ebbrezza.

Filosofica, poetica, teorica

Virtuosa ed alcolica.

Ebbrezza:

Unico modo per star bene

Per essere a posto.

Non pensavo fosse così.

Non pensavo capitasse a me.

“[…]

la poesia è stata inventata perché così sei costretto a soffermarti ad ogni riga. Le parole acquistano così maggior significato, capisci? La poesia toglie la frenesia della lettura. La poesia bisogna leggerla ad alta voce, bisogna gridarla

[…]”

Sono qui, ora

E ho ricominciato a fumare

A bere, a suonare

Ad amare, ad odiare

A scrivere (purtroppo).

E il niente e Simone e Ilaria

Piacere!

Piacere di fare la vostra conoscenza!

Vengano signori!

Cazzo, piacere. Piacere, il cazzo!

Parola semplice

Semplice commiato.

Insomma: parola falsa

Insignificante

Ipocrita.

Mi brucia l’occhio

La sigaretta, il fumo.

Mi brucia la gente che ho dinnanzi

Cha danza, che parla

Che finge di divertirsi

A questa cazzo di festa.

Mi sto bruciando.

Brucio.

Avrei voglia di

Tuffarmi in questo asfalto!

Tre, forse quattro metri

Ci separano dall’amore eterno

Dalla fusione.

Ma nemmeno questo riesco a fare.

Dovrei tornare a casa.

Starei qui per sempre.

Vorrei parlare con un amico.

Vorrei un amico.

Penso che, ora, mi sento un merda, va di merda!

Penso che questa città (civiltà) sia una merda.

E a questo punto, il tonfo secco e disumano di una persona interruppe la mia ebbrezza ubriaca con parole tanto amichevoli quanto aride. A questo punto cagai fuori dalle mie labbra parole che non avevano niente a che vedere con i pensieri distorti che si generavano nel mio cervello. Semplice falso commiato. Educazione, forse. Questi mi parlava, probabilmente erano in due che mi parlavano. Il mio cervello vagava, perso, in un affascinante mondo parallelo che il sacro, secco buon vino sapeva regalarmi in quella triste serata. Ma non fui molto bravo a mascherare questo mio modo di ribattere alle domande spurie che mi venivano sistematicamente poste ed inciampai e caddi e se ne accorsero.

Niente di grave, non sia mai, ma risposi forse troppo sgarbatamente?

No, non credo. O anche se fosse stato, mi aveva turbato quell’irrompente interruzione e l’oblio di dover interloquire cordialmente con qualcuno di cui non conoscevo nemmeno il nome. Non me ne fregava niente di niente parlare con loro. Non avevamo e non avremmo avuto comunque niente in comune, niente di importante da dirci.

Decisi quindi che sarei stato io a togliere il disturbo.

Non chi, questo disturbo, l’aveva in qualche modo provocato.

My One and Only Thrill










MOOT nasce come progetto noise rock pensato da Daniele e supportato da Davide nel maggio 2009. Dopo pochi mesi entra a far parte del gruppo Mattia, il bassista. Dopo qualche mese di sala prove, MOOT esordisce con i primi pezzi dalle sonorità graffianti e viene registrata in casa una demo composta da quattro pezzi in una full immersion durante un fine settimana. Vengono apprezzate le performance dal vivo dei tre musicisti, che si esibiscono in alcuni locali del trevigiano e per festival organizzati nella provincia di Treviso. MOOT inizia a generare nuovi pezzi e nuove poetiche. MOOT entra in studio di registrazione a fine 2010 per registrare il primo EP.
MOOT (My One and Only Thrill) prende il nome dal titolo di un album di una jazzista francese Melody Gardot.