mercoledì 21 dicembre 2011

2011 Bohémiens

Prendimi
con lo stupore che sola tu puoi dare
e contagiami di curiosità
e presente coscienza
nelle tue linee, nelle tue estetiche e filosofie
arricchisci la mia anima
di estatica creatività.

Scorri
impetuosa dentro di me
sovrasta e distruggi tutti i miei argini
non lasciare spazi vuoti
tra le cavità del mio cuore
ma deflagra con la tua violenza dentro di me.

Io mi avvicinerò con quieta precisione
per non lasciarti scorrere sterile sulla mia pelle.

Mia sposa sarà tutta la bellezza dell’arte
mia sposa sarà la pace eterna che raggiungerò con te
mia sposa sarà la vita nuova che da tutto ciò nascerà
mia sposa sarà l’intensità concreta dell’umanità.

E del mare serberò il sale che si appoggerà su noi
e col vento danzerò in estasi per sempre.
Così sarò.

giovedì 15 dicembre 2011

L’inutilità

Il cuore a fatica ancora riesce a scaldarmi.
Pensare a te lenisce fiveolmente il dolore
di essere immersi in questa disfatta fisica e morale.

Ho delle foto in tasca in bianco e nero.
Hanno dei concetti in testa: bianco o nero.

mercoledì 23 novembre 2011

Novembre

Sento
un dolce rapimento
che sa di nebbia e silenzi.
L’essenza
della fissità giunge alle narici
e rallenta le intuizioni.

(Novembre, lì fuori
scorre e scivola via
da me)

Ed ogni giorno
vissuto ha un volto
ed io ad uno ad uno
li nomino.
Scopro bramati silenzi
e flebili illusioni
che con decise irregolarità
si svelano.

In questo mare mi stendo senza peso
sono fusione e confusione ed io
mi insinuo nel mio me più profondo
in trepidante suggestione.

mercoledì 9 novembre 2011

L'allucinazione 2

Ebbi paura di perdere anche la testa
quando tutto ciò che avevo visto e sentito
mi riempì così profondamente il cranio
e senza via di scampo
che la compressione sterilizzò la vibrazione
umana della e nella sensibilità.

Camminare in strade di asfalto
vuote di realtà, non sempre può essere
la soluzione migliore. E il contorno
della fredda nebbia autunnale non smuove
né lenisce la plasticità delle intenzioni.

Ci si affatica e si perde tempo, questa è la verità.
E più scorre, il tempo dico,
più scorre e più sale l’ansia di vivere
di esserci e di far vivere l’idea di noi
come significanti di qualcosa di vitale.
Ci vuole meno tecnologia e più ingenuità.
Ci vuole uno scuotimento neuronale.
Perforare la quotidiana staticità e arginarla!

Dovevo trovare una soluzione a quella staticità
aprire le finestre e ritrovarmi nudo
– sono un bambino, ora –
capire che il gioco della guerra prevede altre regole
differenti da quelle a cui ero abituato
per cui un soldato che sceglie la guerra
non può poi dirsi eroe perché ha perso
la sua umana identità per identificazione
con la sua oggettiva negazione.

martedì 8 novembre 2011

Fragore di foglie

(Marciando senza sosta per assurde convinzioni)

È l’odore della pioggia
la sua greve pesantezza
e fangosa, che sa di febbre
e freddo e stanchezza infinita
e rassegnazione a non capire più
se l’oscurità è solo notte
o demente ostinazione.

L’unica mia salvezza è volere
tornare vivo da te disertando
assieme a te tutta questa stupida
e umana carneficina.

martedì 11 ottobre 2011

Sensuale intenzione

Siediti qui accanto a me
e soffiami la tua sensualità
che in carezzevoli effusioni
si accoccola in questa sera innevata.

Lascia l’immaginazione
accendersi di riflessi più tenui
e sia un dolce smarrimento
a distendersi in te.

Rossi petali di rosa
intinti di borderies e
cioccolato fondente sui tuoi seni.

L’inverno accenna un palpito
che arricchisce il dipinto del fascino tuo
e attrae la mia vertigine
in una minuziosa contemplazione.

Si acquietano i tuoi occhi
in complesse profondità
di intimità fulgenti e aromi esotici
e in questa te mi perdo.

giovedì 6 ottobre 2011

L'istante

È proprio di quel preciso istante di sospensione
di quell’infinito palpito di eccitazione
che s’intromette tra il distacco dalla stabilità
rocciosa e tagliente e la coscienza di esserci
immersi nell’immensità inesorabile,
che non sono mai riuscito a ricordare.

Ed è come di quell’istante che risolve
in un’impetuosa ed infiammata contrazione
di grandiosità intriso e di vita infinita,
tanto sfolgorante in un oblio di sensi
che l’umana sensibilità non sa arginare,
che è insieme splendore e libertà.

martedì 4 ottobre 2011

Ninna nanna (per mia figlia)

Accendo piano la sera
per lasciare che la tranquillità ti abbracci
e non aver paura della notte
che i tuoi occhi vedono
perché con argentee riflessioni
ci sarà sempre una luce
che risplende qui.

Abbandonati al torpore e alla mia voce
stella di vita immensa
e accogli le mie labbra
e il loro sorriso
che si appoggiano sulla tua piccola fronte
un po’ timide e leggere
mentre il calore del nostro cuore ti protegge.

Sogna, piccola, la felicità che meriti
sogna la tua vita che sta fiorendo
sogna l’amore del mondo
sogna la gioia viva delle tue emozioni
e confida in noi
che non ci addormenteremo mai
prima di te.

lunedì 12 settembre 2011

Colline come elefanti bianchi

Come fai a non vedere, Jig
dove la stupidità
possa arrivare a chiederti
di uccidere e di morire qui?
Come si può giustificare
tutto il conveniente
in nome di una personale
e del tutto egoistica utilità?

Ti sei persa Jig
di fronte alla deriva della società
che azzanna la tua libertà
ingoiando birra per licenziarsi, Jig?
[È l’arrendevole morale santificata che ci salva?]

Colline come elefanti bianchi
scopa ancora la mia anima
in questo vano lamento che ci concesse
Ernest Hemingway.

Avremmo potuto avere tutto
avremmo potuto avere il mondo
se non ce lo avessero portato via.
[Oggi non c’è tempo per gli eroi].


È nel vizio caotico dell’ipocrisia diffusa (mi sento bene)
che stagna la coscienza di troppi uomini (non ho niente)
e nel mercato continuo e deprimente (mi sento bene)
dei nostri bisogni più importanti (non ho niente)
si schianta e si annulla la più nobile (mi sento bene)
coscienza che ci faceva uomini (non ho niente)
prima ancora che carne da macello (mi sento bene)
soggetti consumanti e consumati (non ho niente)
consunti nel vorticoso niente (mi sento bene)
che esclusivamente ci fa partecipi (non ho niente)
del grande girotondo politico e sociale (mi sento bene)
che tutto ingoia e niente caga. (non ho niente)
E se anche l’ultima forza per rifiutare la quotidiana (mi sento bene)
brutalità se la sono portata via (non ho niente)
non resta altro (mi sento bene)
che farsi fuori. (non ho niente)

mercoledì 31 agosto 2011

Di noi tutti abbi misericordia

Voci sintetiche e particolari costrizioni
ci impongono quotidianamente regimi opprimenti.
La soppressione non ha limiti, si espande e si diffonde
non c’è modo di fermarla perché è sia culturale che spirituale.
È colpa della santificazione di dio! Del dio creato
ad immagine e somiglianza dell’uomo,
di questo antropomorfismo di convenienza.
Quali processi di trasformazione sono intervenuti
per portarci oggi quest’immagine salvifica, sintetica
e preconfezionata, incantevole, affascinante e così
vistosamente e terribilmente falsa?
Quanti melodrammi e tragedie potremmo scrivere
guardando un po’ più intensamente la nostra immagine
quotidianamente riflessa su costosi specchi griffati?
E cosa succederà quando tutto questo sperma di corruzione
ci avrà infine contaminati tutti?
Quanto durerà la nostra consunzione?
Ci lasceranno sicuramente il tempo necessario
per andare a votare.
Dio santo! Tanta perversione non sarebbe degna del vomito!
Sopravviveranno solo gli schizofrenici e gli alcolizzati,
poeti che soli saranno riusciti veramente a combattere
per affermare la propria autarchia in questo mondo.
E saranno trincee per tutti gli altri
grandi campi di concentramento (o grandi discariche!)
enormi letamai di grasso e peli pubici biancastri
e di milioni di glutei avari di scranni e di centinaia
di cervelli dispoticamente repressi negli anni.
Chissà come ci si muoverà in questa grande fogna
e chissà quale sarà il trattamento riservatoci.
Riconosceremo i nostri rifiuti, allontanati
più per ipocrisia che per senso civico. E i nostri rifiuti
saranno la nostra fonte di sostentamento.
Si creeranno regimi e democrazie anche per questo.
La disumanità umana non è poi così tanto un paradosso.

martedì 23 agosto 2011

Sulla sabbia

Siamo stesi in un letto senza respiro
il ventilatore, cieco, che abbaia qualche rantolo di aria umida
ché nella notte posso scorgere molteplici infezioni.
Da lontano una sirena suona con ritmi arroganti ed intermittenti:
se non la fanno smettere arriverà la polizia!

Ancora mi sento sporco e senza un reale lavoro
un giorno metterò piede sulla spiaggia americana
sicuramente sarà di domenica.
Non ci sarà nessuno al nostro banchetto, solo pochi intimi.
Quella volta, non avrebbero dovuto inventarla (l’America).

Siamo di nuovo schiavi della loro morale e della loro castità
seppur siamo proprio figli della loro castità:
santo e grande spirito! Ci penseremo noi alle concezioni ora
sicuramente molto poco immacolate.
Nascono regimi quotidianamente, ne nacquero anche tra i partigiani
quando stanchi e bagnati del sangue dei compagni
stavano nascosti a piangere le mogli (o le loro donne)
che altri (quelli che avrebbero festeggiato la liberazione)
intanto si scopavano.

E la devastazione sempre miete i vecchi e i bambini
perché non si colpiscono mai i cecchini, piuttosto le loro attenzioni.
Mentre le carogne scarnano definitivamente le loro prede
c’è chi muore lasciando un alito di delusione
guardando per l’ultima volta il mondo attraverso occhi di vetro grigio.
La giustizia ha sempre avuto una radice corrotta al suo interno.

giovedì 4 agosto 2011

Spiriti

In questi istanti
gioisco di orizzonti che
si stagliano in fronte a me
e si svelano immagini che
si figurano in sogni
estivi di improbabili verità.

E la sorpresa rende indecisi i gesti
eloquenti gli sguardi
ed impalpabili le emozioni
per averti qui finalmente.

Ed in pochi istanti è tutto estasi:
effluvi di attese ed intime intenzioni
si iniettano in sigilli
di stupefacenti considerazioni.

[E allora scusami se non ti avevo ancora vista entrare
scusami se ero troppo impegnato a credere
che non saresti mai arrivata
proprio così, come sei.
E scusami se mordo il tuo naso appena un po’
scusami se annuso la tua pelle e i tuoi capelli
e ti solletico e ti affascino
proprio così, per come sei].

venerdì 29 luglio 2011

Eva (Un breve monologo)

(Vestito normale, giovanile. Si presenta in piedi di fronte al pubblico. Man mano che continuerà a parlare, si procurerà degli strappi sui vestiti, si dipingerà un occhio nero, si dipingerà del sangue attorno alla bocca e si disegnerà delle ferite sul corpo. Il tutto sempre muovendosi sul palco, come se nulla fosse. Il tono di voce è rilassato, spensierato)
La cosa strana è che me ne rendevo conto. La cosa più curiosa è che intuivo già, in qualche modo, come sarebbe andata a finire. Non che ne fossi abituato o che si possa dire che finisce sempre così, ma era facile capirlo vedendo me e vedendo loro. Fisicamente dico. Me lo implorava anche lei, dall’inizio, ma era troppo forte la voglia. Sentivo che alla fine sarebbe andata male per me. Sapevo che quelli lì, non era gente con cui si potesse ragionare. E un occhio nero e il mal di stomaco, in qualche modo, li avevo previsti. Però era troppo forte la voglia.
Già.

Quando ti capita di nuovo un’occasione così? L’opportunità di dire liberamente, a viso aperto, ciò che pensi. Sembra quasi strano, dovrebbe essere nella norma. la libertà di parola, intendo. A me vengono sempre dopo le frasi che avrei potuto dire e i modi con cui avrei potuto rispondere. Si, mi vengono sempre dopo. Perché poi inizio a rifletterci, valuto a mente lucida la situazione passata, cerco le parole più adatte per controbattere, per creare un dialogo insomma. Cerco di essere intelligente, di applicare una sorta di maieutica nei confronti di chi mi sta parlando. Alle volte mi perdo anche via con i ragionamenti, mi faccio le battute e mi rispondo da solo. Batto e controbatto e a volte passa veramente del tempo. Il bello è che cerco di mettermi dall’altra parte, dalla parte di chi mi sta portando le sue ragioni, anche in modo violento – come oggi. E in questo modo rifletto anche sulle mie posizioni. Però mi dico sempre che non devo entrare in un loop mentale di nervosismo e incomprensione, ché poi mi carico di negatività e, alla fine, chi ci resta male sono solo io. (Sussurrato, come se fosse una voce fuori campo) Tipo come adesso. (Normalmente) E a volte a fare questi giochi mi compiaccio anche, perché sono una sorta di ragionamento su un argomento che, altrimenti, non approfondirei. E poi, credo che mi potranno servire – i discorsi fatti tra me e me, in un botta e risposta mentale – perché magari un giorno riuscirò a rispondere veramente a tono a qualcuno. Si, diciamo che mi sto esercitando. Poi quando il cervello avrà capito il meccanismo, sarà tutto più facile. Ne sono certo.

Per ora continuerò a fare come ho sempre fatto: ho anche comprato le scarpe da corsa nuove! Perché so correre molto bene e molto forte se voglio.
Sì, se voglio…
Meglio dire che se è il caso, corro molto forte e difficilmente uno mi riesce a prendere. Non è essere codardi, è essere astuti: fisicamente non potrei rispondere a delle offese, non sarei in grado di dare un pugno o allungare un calcio. Non mi pare di averlo mai fatto. Almeno fino ad oggi. Insomma, me la sono sempre data a gambe – visto che sono molto bravo in questo. E ne sono sempre andato fiero dei miei tempi personali: ho un buon appoggio e una discreta resistenza. E non sono male negli scatti. E ho una discreta resistenza, quindi posso correre per molto tempo.
Però adesso mi fa male la gamba. Credo mi faccia male. Cioè, non sento male ma ho la sensazione che non sia propriamente sana.
Aspetta che ci do un occhio… (Non guarda e non tocca la gamba. Continua a fare esattamente quello che faceva prima. Silenzio per qualche secondo).

Ma oggi non potevo proprio correre. Avrei anche potuto, a ben pensarci. Però è stata troppo forte la voglia. E a sentirti supplicare e piangere così, ho sentito il sangue che bolliva dentro le vene. E continuava a bollire anche quando stavo cominciando ad avere freddo.
Quando il sangue bolle, non senti più caldo o freddo. Dopo forse lo senti, si ecco. Probabilmente come si era scaldato così si stava raffreddando. Comunque non senti granché. Oggi, ad esempio, continuavo a sentire la tua voce. E la strana cosa è che non sentivo distintamente le loro voci. La tua sì, le loro no. (Pensoso) Che strano! (Di nuovo spensierato) E ricordo anche un’altra cosa: sentivo come un peso nello stomaco – e sì che avevo mangiato. Beh, sentivo un peso nello stomaco che prima veniva da dentro poi, ad un certo punto, è stato più esternamente che mi faceva male. (Non si tocca né indica lo stomaco, ma continua a fare ciò che stava facendo prima) Proprio qui, vedete? In questo esatto punto. Beh, effettivamente il colpo non è poi stato proprio leggero. È che quando piangi così io subito non sento dolore. Magari dopo. Magari lo sentirò tra un po’. Perché adesso non lo sento più. Credo di non sentirlo. Ho smesso di sentirlo quando tu mi hai detto che mi amavi, con la voce strozzata. O ero io che sentivo male. (scherzando, quasi ridendo) Hanno iniziato a fischiarmi le orecchie dopo il terzo o quarto colpo…
(un po’ stupito) Ecco un’altra cosa buffa! Prima sentivo te e non loro, poi pian piano ho iniziato a sentire anche le loro voci. Confuse, sì, perché si parlavano uno sopra l’altro ed era proprio un gran casino. Non si distinguevano bene le varie voci. Comunque la tua voce la sentivo bene. E che bella giornata è stata oggi. Il sole era proprio caldo e hai avuto proprio una bella idea a propormi di andare a fare una passeggiata lungo il fiume. Hai visto anche i cigni come sembravano spensierati? Ci voleva proprio un po’ di ossigeno. Poi si è fatto tardi e siamo tornati indietro per la stradina che costeggiava il fiume. Dovevamo tornare perché ormai era scuro. Però io volevo stare ancora un po’ fuori, mi piaceva troppo stare con te così immersi nella natura e pensare a noi, alla nostra casetta, al nostro futuro insieme. (felice) E a te piace tanto quanto ti dico che saremo dei nonnini proprio simpatici e che ci vorremo ancora tanto bene come adesso… (normale, come prima). Poi quando ti racconto delle mie idee e dei progetti per la nostra casa e per i nostri bambini, tu ti illumini sempre. Perché siamo in sintonia, ci capiamo anche senza parlarci quasi. Abbiamo gli stessi gusti, le stesse idee. Siamo proprio una bella coppia tu ed io. E, come dici tu, la nostra casetta sarà proprio bella!
E ci siamo persi in questi discorsi e abbiamo parlato anche di altro: di un sacco di cose, che adesso tutte non me le ricordo.

(si guarda intorno, non capisce. Guardando il pubblico)
Ma tutta questa gente qui? E, a proposito, tu dove sei andata? Ah forse mi starai aspettando a casa. Caspita, mi devo essere trattenuto un po’ troppo con quei ragazzi. Infatti, ad un certo punto non ti ho più sentita – non ho sentito più niente a dire il vero. Non è che ti sei arrabbiata con me? (un po’ preoccupato, quasi supplicante perdono) Amore, proprio non mi sono accorto…se ne sono andati via tutti e sono rimasto qui da solo! Ma adesso arrivo amore, non ti preoccupare.
Sento tante persone intorno a me adesso. Ma non è che sono già a casa?
Ad un certo punto la tua voce è cambiata molto rispetto a prima, quando stavamo passeggiando. Prima avevi una voce dolce e calda e poi, quando quei ragazzi ci hanno fermato, si è un po’ rattristata. Infine hai iniziato a piangere e a urlare.
Noi non fumiamo, forse si saranno risentiti per questo quei ragazzi, perché non avevo un accendino. Ti hanno preso le braccia per verificare che tu ne avessi uno. Ma per fortuna sono stato diplomatico. Gli ho detto che non ne avevi uno, magari avremmo potuto cercarlo insieme, un accendino. O qualcosa di simile. E loro non si sono scoraggiati, nemmeno quando tu hai iniziato a piangere. Però devo aver detto qualcosa di sbagliato, perché si sono un po’ irritati. Sì. Non sono nemmeno riuscito a finire la frase che ho sentito un gran mal di testa. Credo mi abbiano colpito con un bastone o qualcosa di simile. Lì tu hai provato a gridare aiuto, ma ti hanno subito tappato la bocca e ti hanno dato una ginocchiata in pancia. (sempre con un tono tranquillo) È stato lì che ho iniziato a sentire il sangue caldo. E non solo sul mio viso, anche dentro le vene. C’era anche qualcuno che rideva, sghignazzavano in più di uno. E tutto per un accendino! Io ho provato di nuovo a parlare ma non sono riuscito a dire niente. Perché, mi devono avere colpito la gamba con il bastone e sono caduto (cade inginocchiato. Da ora in poi cadrà pian piano a terra fino a rimanere disteso. Ora è inginocchiato a terra). E ho visto che uno di loro ti ha toccato il seno. E poi anche più giù. Tu gridavi aiuto ma io non riuscivo a muovermi. Ero come immobilizzato. Forse piangevo in silenzio. Sicuramente mi è dispiaciuto non riuscire a muovermi – avevo dolore un po’ dappertutto – e comunque c’era qualcuno che mi teneva per i capelli (inclina la testa all’indietro per qualche secondo poi, di scatto, la porta in giù e poi normale). Tu, due persone ti tenevano ferma per le braccia e un terzo ti toccava prima il seno, poi più giù. Non ho visto se ti hanno spostato l’intimo. Perché gli occhi mi bruciavano. Forse era il sangue misto a lacrime. Io comunque, appena ho visto che ti toccavano, ho cercato di alzarmi e di liberarmi dalla presa. Ma continuavano a tirarmi calci sulla schiena (si accascia: rimane appoggiato con le ginocchia e con le mani a terra). Per fortuna quell’uomo in barca ha puntato il faro. Chissà che faceva quella sera con il suo barchino lungo il fiume. Magari era andato a pescare. Magari si era solo fatto un giro domenicale. Comunque io ho visto un fascio di luce e ho sentito le voci dei ragazzi diverse. Forse preoccupate. Sembrava stessero scappando. Fatto sta che la luce è diventata sempre più intensa. Non capivo se provenisse dalla barca o fosse qualcos’altro. Più la luce si avvicinava e sempre più le voci erano soffuse. Ho sentito una mano diversa da quelle di prima su di me. Sui miei occhi e sulle mie labbra. Dal calore della pelle so che eri tu amore. Volevo dirti che stava arrivando qualcuno che ci avrebbe aiutato. Volevo dirti di non preoccuparti. Ma sono riuscito solo a dirti “ti amo”.
Tu mi hai detto “per sempre”.
E poi ho visto tutto bianco. (silenzio)

(steso a terra, immobile con il volto rivolto verso la scena)
Sento che mi fa male la testa. Credo mi faccia male. Cioè, non sento male ma ho la sensazione che non sia propriamente sana.
(rimanendo steso immobile a terra, gira il volto verso il pubblico)
Ma tutta questa gente qui? E, a proposito, tu dove sei?
(rimanendo nella stessa posizione, chiude gli occhi)

giovedì 28 luglio 2011

I miei occhi

Di sere fresche, questo nord est pianeggiante ne ha molte. È l’umidità che rende i giorni appiccicosi e stanchi, mentre le sere portano i corpi a gustarne il sollievo quasi a rinvigorirsi di voglia di stare all’aperto. Sono sere in cui il celo è scuro e limpido e costellato da miliardi di scintille ammiccanti, che disegnano mitologie ed epiche e probabili ed improbabili forme di vita. In quelle sere ti vien voglia di stare seduto sull’erba, di stenderti e guardare su, alla ricerca di una stella polare (la tua, se possibile) come se fossi alla ricerca di una rotta in questo immenso mare di sogni e desideri. E tutt’attorno si propongono profumi di verde scuro e di terra.

Riconoscere le principali costellazioni non mi è mai stato troppo difficile e nel lasciar vagare i miei pensieri nell’osservazione, riesco a scoprire sguardi antropomorfi, decisamente teatrali e spettacolari, che si muovono con le velocità con cui il vento puntualmente li guida. E vedo sguardi pensierosi, alcuni sorridenti, alcuni assumono ghigni diabolici e tutti si materializzano, sfilano e lentamente scompaiono nel loro destino.
È un gioco che ho sempre fatto, fin da quando ero bambino. Ma ci fu un momento in cui mi resi conto che mi riusciva sempre più difficile cogliere forme strane, forme diverse da quelle cui ero quotidianamente abituato. Guardando il cielo non riuscivo più a scorgere realtà immateriali. Forse i miei occhi erano cambiati, forse erano diventati adulti, forse…c’era qualcosa…ai miei occhi, i miei occhi avevano subito una trasformazione.
Forse le ore davanti allo schermo del pc, ma no, non ne passavo così tante!
O davanti alla televisione? No, non l’ho mai avuta (non mi sono mai piaciute le bugie).
Forse…ecco, l’inquinamento luminoso!
Continuava ad essere faticoso guardare e cercare di vedere.
Decisi di prendere una soluzione drastica: via gli occhi! Ne volevo di nuovi, della stessa marca e modello di quelli che avevo da bambino.
Ma, non c’era modo di trovarne e soprattutto non c’era modo di sostituire gli occhi!
Allora mi guardai dentro, cercando di ripescare qualche segno, qualche suggerimento per poter tornare a vedere come prima.
E trovai tante emozioni, tanta felicità, tanta spensieratezza e semplicità. Trovai una buona dose di umiltà, e tanto, tanto amore. Amore per la vita, amore per quello stesso cielo che guardavo (da grande) e non vedevo.
Trovai anche qualche giorno buio e qualche lacrima di dolore. Ma trovai anche i miei sogni, i miei giochi, le mie commozioni.
Allungando la mano, ne presi un po’ e poi ancora finché cominciai a vedere nel cielo strani animali, sorrisi antropomorfi, navicelle spaziali, treni, nuvole vecchie e nuvole più giovani e storie e signorotte che parlavano e un vecchio austero con la sua pipa in mano, contemplante chissà cosa, e un bambino in spalle al papà che parlava con un piccolo cagnolino fermo di fronte a lui.
E il cielo estivo e violaceo riprese la forma splendente della mia esistenza.

Perso nella contemplazione profonda, cominciai così a trovare i fondamenti della mia escatologia.

martedì 28 giugno 2011

Prologo

Ecco mi trovo a scrivere
di ricerca e di quietudine
in istanti sublimi che mi spingono
ad alzarmi e a compiacermi.

E ne viene fuori una Grandeur
se la mia intuizione clinica
eccita un po’ di più lo spirito:
prima il mio e poi quello dell’immensità.

Infine si tratterà solo di esperienza
se con architetture accorte
saremo stati disegnati in profili
che danzano in cosmetica armonicità.

(Prenderò ogni mia lacrima
per commuovere con forza questa realtà
e porterò il mio scettro intimo
come ossequio alla genialità).

venerdì 29 aprile 2011

Ballata d’estate (o quarta ballata della consapevolezza)

Si coglie l’austera eleganza
perfetta e circolare, scolpita
tra caldi graniti e armoniosi allineamenti
che spinge lo sguardo ben oltre
la struttura vitale e funzionale
verso orizzonti sicuramente solenni
e quasi di sovrumani pensieri.
La concentricità delle intenzioni
grandiosamente realizzata
eleva lo sforzo umano e la vita
verso dimensioni libere e pure
vorticose di polvere e tramonti
confusi in senili appagate emozioni.
Si scolpiscono rituali convinzioni
e religiose concezioni in anime
inviolabili e di monumentale sacralità.

E l’abbagliante splendore della bellezza
affranca la commozione e porta all’immenso.

Ballata di primavera (o terza ballata della consapevolezza)

Il disarmonico contrappunto
del violoncello portò dissonanze
quasi incomprensibili se isolate
dalle simbiotiche globali vibrazioni.

La risoluzione in seste pose l’attenzione
sulla melodia profonda, appena percettibile
vibrante su celate note pure [quasi nuove]
spesso soffocate da quotidiane cacofonie.

L’intesa elegiaca si ebbe in rivoli
di cinguettii e costanti gravitazionali
che nel loro procedere portarono omaggio
nuovamente alla complessità estremamente
geniale che nella naturalità eufonica
e nell’euritmica eleganza divina
nutrì toccanti variazioni consapevoli
liriche nel grandeur luminoso dell’opera.

Ballata d’inverno (o seconda ballata della consapevolezza)

Lo stallo sensibile sul palcoscenico
s’ardì fino al fondo di una platea
vellutata di vermigli testimoni
che si sospesero golosi in attesa.

L’occhio di luce s’accese sull’attore
giovane ed irriducibilmente antitetico
che silenziosamente s’afflisse in un gesto
confuso di cognizione apparente.

Fu la mancanza di significati profondi
di spirituali discussioni e rituali
certezze a coinvolgersi in uniformità umane
ed in sterili emulazioni rassicuranti.

E fu dal fondo della scena che un accento
fuoriuscì risolvendo il corale imbarazzo
cogliendo il gesto invocante che carpì
l’umana e vitale necessità dell’umiltà.

giovedì 14 aprile 2011

Ballata d'autunno (o prima ballata della consapevolezza)

Tutto iniziò con l’energico commiato
sensibile e materico della sfumatura
fugacemente lasciata fissarsi
sulle fibre orizzontali dell’effigie.

[Capire il movimento!
Studiarne il movimento – pensai.
La ragione intima, profonda
invalicabile quasi inviolabile
della sua origine e coniugazione].

Il ritmo sincopato del ritocco
composto e del tutto istantaneo
definì il sintomo fortuito
[tuttavia ineluttabile, dunque!]
del divenire nel disegno.

Tra le gocce non s’intravide
il significato ultimo dell’azione
ma fu il riflesso del completamento
a garantire la complementarità
essenziale e significativa dei colori.

martedì 12 aprile 2011

Stabilità portuale

Nello scorgere tra le fronde
del tuo sguardo una luce amaranto
che s’insinua tra i tuoi sorrisi vellutati,
un elegante silenzio avvolge
la nostra anime abbandonate
alle fioriture primaverili
e tenui delle primizie con cura
cullate da riverberi mattutini
e notturne effusioni.

Allungo verso il tuo profumo
serale la narice che inspira
fragranze radiose e mediorientali
che raccontano di città sconosciute
e vette infinite, di polvere
e sudore, di estasi e profondità
di commedie immaginifiche
e di sguardi puri [estremamente lucidi].

Gocce d’acqua salmastra bagnano
labbra sognanti e si dipartono incantesimi
da qui all’immensità dell’oceano.

[Le tue guance albicocca si segnano
in un seducente sorriso appassionato
che abilmente porta le mie labbra verso le tue].

lunedì 11 aprile 2011

Continua a correre

Finì che il cuore iniziò a pungere
e la gola si impietosì in un gemito
serrato tra la faringe e l’intenzione
imprigionando l’aria nei polmoni
che nello sforzo attentò alla capacità
individuale di concentrazione.

La continua pressione sulla bianca
vernice dello scuro asfalto concesse
una distrazione onirica sufficiente
per la diastasi muscolo-immaginativa
che garantì il mantenimento dell’impegno
fino alla conclusione del moto.

E fu il pianto, catartico e rivelatore,
che chiese allo strazio la sua conclusione.

venerdì 25 marzo 2011

La tenacia di un pescatore

C’è una piccola imbarcazione
ormeggiata su una sponda
di una piccola ansa del fiume.
Il movimento ritmico
e sintetico dell’acqua
bagna e asciuga il vecchio legno
scrupolosamente curato
dal mastro calafato.
Le lacrime albeggianti della caligine
sono illuminate dalla fiamma
dimessa del lucignolo
intriso dell’olio della lucerna
che arde ed illumina
l’esigua contingente banchina.

È l’odore dell’infezione
[che un po’ indebolisce il sorriso icastico
segnato dallo spessore salino del mare]
di nuovo a redarguire la carne
per non indugiare coraggiosamente
sul significato ultimo
del risveglio di ogni giorno.

giovedì 24 marzo 2011

La mia famiglia

Mia madre
ha la pelle del colore della primavera
il profumo di tutti i sogni dei suoi figli
e nel ventre il fuoco della vita.

Mio padre
è uno spirito austero di enorme capienza
i suoi confini non hanno misura né peso
e tutte le ferite, le guarisce imperturbabile.

Le mie sorelle
sanno abbracciare e stringere al petto
hanno sguardi affettuosi e pazienti
e nei capelli il balsamo degli oceani.

I miei fratelli
sono grandi, più di me
sono diventati uomini prima di me
e mi parlano con coraggiose armonie.

Mia moglie
è nobile spiritualità che inonda
è un abbraccio che riporta alla vita
è uno sguardo, semplice e sincero, di luce e pensiero.

Le mie figlie e i miei figli
sono madri e padri a loro volta
che s’innamorano del canto
e della poetica dell’immensità.

[Ed io contemplo
le loro preziose grandezze individuali
per alimentarmi delle lacrime di commozione
di carezzevoli spasimi spirituali].

Nell'eleganza dell'intenzione

Gli occhi indugiano affabili
illusi nell’armonia intrisa di
spiritualità affidata a questa oscurità
radiosa.

Ritraggo con l’indice la vertigine
sugli ansimi che appannano il vetro
che racchiude l’eccitazione rovente dei
corpi.

Comprendo milioni di desideri
cullare questa limpida segretezza
e la fragranza della mia vita
trasuda

in umili epidermiche evasioni
e sublima la carne in infinite suggestioni
circonfuse con la lirica celeste
del mondo.

mercoledì 16 marzo 2011

Verso fuori

Tramutarsi in liberi spiriti
privarsi delle sciocche costrizioni
ed attrarsi ai dimessi chiarori
trasparenti dalla notturna caligine
in un’agitazione implacabile
ed ordinatamente insoddisfatta:
eiezione verso un'infinito fuori
dall’infinito dentro.
Distendere i muri della risonanza
delle condizioni organizzate
delle programmazioni televisive
dei meccanismi societari
[ché forse saremo più Uomini,
se non altro meno stipati in batterie
da riproduzione di nuova carne
da macello].

giovedì 3 marzo 2011

Lo scostamento n. 3

Sono piccoli albori che stillano
tra la trama del sogno
e l’ordito dell’emozione.
Il metodo suggerisce di scrutarne il disegno
per poi comporre l’intenzione
luminosa
che si impone con chiaroscuri
scolpiti di squisita perfezione
[unica dell’esistenza].

Tutto si acquieta
negli elementi immutabili
stabili e complementari al visibile
intrisi di sorrisi
e di affettuosa interezza.

[E in questa progressione mi assopisco
e nell’immensità poetica del tuo candore].

I sogni non si perdono
si possono solo riconquistare.

venerdì 25 febbraio 2011

Lo scostamento n. 2

Tempo è niente.

Abbraccio inviolabile
curvato
in un unico
esatto
istantaneo punto di curvatura
[perfetto!].

Trovarsi catapultati in un amplesso
di coscienza
permettersi di evadere
dal tradizionale
spostarsi dal sensoriale all’etereo.

Basta un semplice salto nel vuoto
nell’invisibile agli occhi umani
[grandiosamente complessi
ma pur sempre troppo umani].

Lo scostamento

Tutto è il Caos.

Curiosa congiunzione di eventi
irreprensibilmente congruenti
determinanti
il preciso ordine spirituale
e temporale dello stallo.

Si crea così
l’istante del raggiungimento
della piena coscienza di se stessi
l’istante di svanimento
del funicolo latore
di emozioni parenterali
che fin lì
ha costretto alla statica
ineluttabile
inerziale
circostanza degli eventi.

È il palpito
percepito nel distacco
nella perdita di aderenza
nei suoi termini più puri
e più valenti.

[È un attimo
un attimo unico
e preciso
perché se confuso
diventa passato
quindi irraggiungibile
quindi evaso].

martedì 22 febbraio 2011

So piangere

Credo che prima o poi
uno lo capisce
che nel rapimento crepuscolare del sole
che si veste della notte
incorniciato da un’eleganza di movimenti
impercettibili
incalcolabili e inafferrabili
si coniugano espressioni
e violazioni
che vanno ben oltre l’umana capacità
di sapersi togliere
dei vestiti così troppo stupidi
e pesanti
e limitanti.

Credo che prima o poi
uno lo capisce
di aver perso quella puerile
capacità di emozionarsi
di fronte alla vita
di commuoversi con Ella
e di sentirsi libero
di carpirne ogni sfumatura
arancione
e a tratti violacea.

Credo che prima o poi
uno impara
non a dimenticarsi
dei colpi subiti
ma a curarsi le lesioni
come uno spirito puro
più capace di godere
per la pelle rimasta illesa
che di incespicarsi
nel passato di vecchi segni
e lontane ferite.


Perché gli uomini
quelli con tanti muscoli
[io ne ho solo uno]
quelli
sedicenti uomini
credo abbiano dimenticato
che la rugiada fresca
vergine
feconda le gemme
pure e chiuse
per dar vita a piccoli occhi
di vetro
inciso di perfezione
e della gratitudine che
solo dal profondo può venire mossa.

E le gocce di luminosità
vengono a far conoscere al mondo
impavidamente
l’assonanza concessaci
della pelle con la terra
e dello spirito con dio.

mercoledì 16 febbraio 2011

Terza danza della sospensione

Continuerò a guardare nel cielo
per osservare il lento movimento delle nuvole
astuto
e cercare di capire
se ha realmente senso comprendere
fino a dove sia riuscito a spingere
la mia profonda intenzione.
O forse è più perfetto
lasciarsi rapire dall‘incanto
frugale delle costellazioni
di gentili commozioni gradite.
Con voli magnifici
mi sono lasciato sollevare
da movimenti metafisici
nell’immensità dei sogni
per raggiungere una luce infinita
[una in particolare, quella più luminosa
quella che da sempre
attendeva il momento di attraversare
la cornice di una finestra socchiusa
più per l’attesa
che per la paura di soffocare].

Sono attimi infiniti di
torpore
umano ed intimo
per la loro sospensione
e il rapimento in cui
nuovamente mi bagno, avvolto
dal tuo profumo, mi
aiuta a sentirti e
finalmente
e quietamente a
diventare
esistenza con te.

lunedì 14 febbraio 2011

E rannicchiarsi nel cuore

E poi capire
che c’era un motivo ben speciale
se mi addormentavo
con la finestra lievemente aperta
verso un cielo
con milioni
miliardi di stelle
di cui una sola sarebbe riuscita a scivolare
lungo la via del cielo
[come scrivesti tu].

E poi capire
che c’era un motivo ben speciale
se i miei balzi
fuori dalla stessa finestra
potevano continuare
a preservare solamente
immancabilmente
lo stesso nulla
di allora.

E poi capire
che c’è un motivo ben speciale
se vale la pena
di aggrapparsi ai sogni
gelosamente
custoditi da una stella
in un universo
di immensità radiosa
ed intimamente gitana.

[e capire
che il motivo ben speciale
sono i profumi e le armonie e i colori e i sapori
di questa estate estatica di movimenti ed intenzioni].

mercoledì 9 febbraio 2011

Riposo

C’era una sottile crepa nel muro di fronte a me, nelle vicinanze del telaio della finestra. La crepa assomigliava ad una S che fosse stata stirata e straziata verso l’alto, fino a renderla plasticamente deformata e in equilibrio con le venature di un fugace intonaco steso sul muro. In corrispondenza della pancia destra della crepa, a qualche centimetro di distanza l’intonaco bianco sporco era stato graffiato dallo spostamento di un qualche mobile e il canale che si era così creato giocava con i pochi watt di luce all’interno della stanza, a formare sterili ombre che la mia mente, in quel momento piena e pesante, prendeva e muoveva come una religiosa processione fino al confine con l’oscurità totale della fessura tra l’armadio e il muro. Mi parve di cogliere l’impulso incontenibile di piccole entità senza forma né colore, tant’erano piccole, verso la silenziosa immensità dell’oscurità.
Fui rapito da quel convulso coraggio che mi abbandonai alla stanchezza fisicamente sensibile e mi lasciai scivolare in un volo sospeso, immerso nel nulla attorno a me. Uscii da cotanta immonda materialità, da cotanta corrotta fisicità e potei percepire l’afflato di me salire verso un’eterea sensazione di pace. Mi fusi con l’aria attorno a me, che era dentro me, che era diventata me. Percepii la distanza dal mio corpo, da ciò che rimaneva di quel preciso assembramento di ossa e carne e da tutto ciò che sistematicamente mi trasmetteva. Salii nell’oscurità. Non esisteva il peso, non percepivo caldo o freddo, non avevo più corpo. Non c’erano rumori o suoni, non c’erano odori, sapori, nulla.

Solo catarsi.

Melodrammi testosteronici

1
Anatomia di epidermidi imperfette:
lui stabile, lei vertiginosa.
Estremamente incelabile
l’impeto arrogante del riverbero
universale ed univoco
epifanico di endemica distrazione
manchevole di semplice definizione
[scontato e quasi del tutto prevedibile].

2
Si viaggia in stormi compatti auto-insufficienti
al contempo intimamente agonistici
sterilmente scoloriti in questo tempo:
sono singolari e trascurate epilessie.

3
Cellule non levigabili
giacciono tenute dormienti
senza che alcun impulso esterno
le fecondi con una sorta d’instabilità pulsionale.
Troppo umanamente terreni!
Troppo umanamente fecali!
[quale dunque il disegno a ciò connesso,
per cui si sia perso – o mai ricevuto – l’insegnamento,
l’educazione all’espressività tangibile?
Ed ancor più arbitrario il consenso, tra simili, accordato].

4
Viscosi afflati di incomprensibile delirio
fremono su asfalti ben levigati
esteriorizzati ed amplificati
da fredde carcasse metalliche.
Provengono stucchevoli suoni
dall’intestino delle loro scorze
lucide, fors’anche nuove (ma codesto è un futile tormento!)


E l'esteta della vita si compiange nel vedere questo accostamento di epidermidi avvinghiate in amplessi senza tempo.

martedì 8 febbraio 2011

Il capriccio dell'umiltà

Suona un violino
iperaccordato in la maggiore
e i palpiti si diffondono
in questa notte
gonfia di cecità.

Una gabbia viscerale
di prepotente costrizione
che pone freni subdoli
e davvero stupidi
all’ascolto
mi è giunta impetuosa pochi istanti fa.

Ma ora
il fervore liberatorio
è di Paganini.

Il sorriso
non troppo velato
si era accomodato su un velluto rosso
non costoso
e molto semplice
tuttavia rispettoso
accogliente basse coscienze
o forse solo ancora puerili
che mi hanno distratto dal lavoro.

Allora ho indicato con lo sguardo
la dissonanza.

[e Paganini non ripete].

Ci sono fiori viola

Ci sono fiori viola
lungo il ciglio della strada.
Non li avrei notati
se non mi fossi fermato
per osservarli.

Questi fiori
diventeranno grandi – pensai.
Ma ancora adesso alcuni di essi
vengono calpestati.
Solo per la loro singolare fragilità
solo per la loro differente perfezione.

È quasi una legge
di natura
o forse è più una secca
abitudine che si è radicata.

Se non mi fossi spogliato
della mia velocità
della mia evidenza
non ne avrei mai colto il profumo.

[gli uomini tendono ad impossessarsi della bellezza
strappandola dalle mani del mondo
pensando che il ricoprirsi di un’omogenea complessione
possa emancipare lo spirito dalle naturali dissonanze armoniose
non capendo, così facendo, di distruggerla]

Io mi sono avvicinato
per poter sentire fluire
il loro prezioso afflato pedagogico
su di me
senza violarli.

Ma qualcuno in qualche modo li offenderà.
Per questo
come uomo, chiedo scusa
per questo
come uomo, ne sosterrò la rivoluzione.

martedì 1 febbraio 2011

L'edera

Lo sguardo si schiude
con impacciata timidezza
mentre il candore che filtra da fuori
viola l’intimità residua ancora sopita.

La voluttà si confonde
e a piccole lacrime
stilla un incanto estatico
sui corpi avvolti nelle prime luci del mattino.

(Vaghi i ricordi della luna di ieri
o meglio confusi, ancora ovattati).

Un barlume fosforico s’accende
innestando consapevolezza
nella carezzevole livrea
garante delle più seducenti bramosie.

La verticalità s’innesta
in un’effigie serafica
di istanti trascorsi
e di desideri vespertini.

E nella luce alimento il mio fervore.

Se qualcuno provasse a chiamarla vendetta

Prenderò in mano Narciso e Boccadoro
e un disco di De Andrè
perché i fucili non mi sono mai piaciuti.
Salirò in macchina per correre
più in alto possibile
[ho già in mente un posto dove andare
mi ci hai portato tu, tempo fa.
Tornerò lì per respirare la tua vita
così come me la hai donata
così come me ne hai parlato].

Mi porterò una bottiglia di vino
rosso
dimesso compagno di viaggio
e un pezzo di carta
[il mio quaderno è morto partigiano]
e una matita.

Suonerò le parole più accorte
per tingere il mondo di colori tenui
[pastello e fervore]
e giocherò a scegliere i respiri più intensi
per dare palpiti alle mie bramosie
e scriverò fino al tramonto
e la contemplazione
sorreggerà l’esperienza dei timbri
che dipingono l’armonia cosmetica del mondo.

Poi tornerò
da qualche parte.
Tornerò a me stesso.
Tornerò in me stesso.

[tornerò a casa].

giovedì 27 gennaio 2011

Seconda danza della sospensione

La figurazione che si staglia
è una toccante immensità.
Lo sguardo declina
per affascinare l’ossigeno.
Sembra quasi un’espansione irraggiungibile
simulacro di riflessi cangianti
liturgici e iridescenti.

Siamo tangibili sagome cineree
incapaci alla comunione sensibile
se non facendoci all’orizzonte consonanti.

Ah! Difficoltà della fisicità!

Il desiderio è impregnato
dell’architettura reale dell’irrazionalità.
Tutto si concilia con l’oscillazione
dello sguardo.
Un gelo ceruleo
s’incarna nelle piccole fessure della pelle
con moti terapeutici
incantevolmente stranianti
e linfatici
che coadiuvano
la riconsiderazione epifanica
del componimento visivo
e sensibile
del nostro essere.

martedì 25 gennaio 2011

Prima danza della sospensione

Elettricità autostradale
che assopisce.
Decine di chilometri catramosi
scivolano sotto la tua bellezza
questa notte.
Mentre ascolto il contrappunto degli archi
cerco di non distrarre
la tenuità compiacente
di una luna di porcellana che si posa sul tuo velluto.
L’orizzonte continuo rimane
pressoché immobile davanti a me,
mentre penso che dovrei
sempre tenermi una penna
e un pezzo di carta in macchina.
Ma penso anche
che a volte sia meglio
lasciare galleggiare le piume
sulle onde.
Il calore dell’allusione
secca un poco le note
ma la nebbia da fuori, emolliente,
porta a te le armonie che
confusa nel dormiveglia
di una stanchezza carica di significati
sorridi.

Tra poco saremo a casa.
Tra poco ti sognerò.

La campagna

[In macchina, lungo la campagna].

Si tratta di storia e terra
di quella provincia trevigiana
pianeggiante, particolare nelle su forme
tipicamente orizzontali.
Le curve dell’asfalto
distraggono la visuale
da lunghe rogge secche in cui Natura
ricama piccoli pruni
dall’odore di terra fertile, umida.
Sebbene l’incanto,
rimane sempre del fango sotto i piedi
perché anche la sete, in questa provincia
è piuttosto pianeggiante.
Si tende a rimanere statici di fronte a ciò
possibilmente ancorati
in questa provincia
sospesa sull’acqua.
Così è più il verde che il blu,
nonostante i riverberi mattutini
sveglino puntualmente gli spiriti
che si cullano
nei meriggi tra i granelli scuri
della torba.

Se ti fai sfiorare, comunque non ti lasciano.
Sanno attraversarti e intridersi
dentro di te.
Tra un’acacia e un traliccio
si spremono
colori definiti [per chi li vuole cogliere]
immersi in un tempo
che non si lascia passare.
Diventa importante
cogliere la funzionalità
di queste geometrie di conservazione
[e riconoscere i passi che le acque hanno sostenuto].

Può anche capitare di rimanere imbrigliati
nei riflessi ghiacciati
della galaverna,
ultima costellazione rimasta
dell’amore armonioso
tra il cielo e la terra.

lunedì 17 gennaio 2011

Sul mare

È un vuoto che fa paura.

[È un vuoto che fa paura per la sua pesantezza].

Ne rimaniamo impregnati, di questo vuoto.
Entrambi esitanti nel silenzio
nella nebbia
sul mare
d’inverno.

Ed un fremito ci coinvolge
nell’aroma dell’immensità
in questo spessore salino
in questa fissità di particelle.

È un dono divino – penso.
Mi convinco che non sia un caso
se siamo sospesi
se siamo soffusi
se siamo invasi
se siamo spogli.

È un dono divino – penso.
perché tutto è annullato [tranne te]
tutto è segreto [tranne te]
tutto è in attesa [come me].

È un dono divino – penso.
Se ora riesco ad assisterti, a spiarti
più vicina
più con-fusa a me.
Se riesco a scrutarti e conoscerti
se posso sentire il tuo riflesso
luminoso
in questa sera sospesa.

A volte abbiamo bisogno di un nulla
così immenso, così
pregno di sogni
per sentirci vibrare all’unisono
armoniosi
sensuali
per sentirci sublimare nei nostri desideri
più intimi
più incantati.

lunedì 10 gennaio 2011

Ho spento un altro interruttore.

Ho spento un altro interruttore.
Consumavo troppo!
L’affaticamento comportava più dispersioni che efficienze.
Era uno stridere pungente e frizzante – da annusarsi.
Trasloco psicofisico.
Metempsicosi di sensi e fotogrammi.
Esistono giorni in cui è meglio – forse necessario- ridipingere una parete
sporca delle impurità degli anni.

[l’odore dell’intonaco fresco confonde, copre e disperde i tratti sbagliati e i vicoli ciechi del disegno]

Niente viene rimosso
tutto viene messo al proprio posto
con l’eleganza di un ordine arancio, dorato e a tratti violaceo.

I quadri vecchi vengono appesi nuovamente
più per compiacenza ed illusione
che per estetica.

E i frangenti sono parabolici,
l’inclinazione inizia elevata e si conclude
veramente infima.

Sono tratti di paesaggi
impressi in vecchie superfici sensibili
ormai consunte dagli sguardi – ed è ora di gettarli!

Il tempo resta quasi impercettibile
non c’è né fretta né calma
e lentamente si fa sera.

È preferibile scegliere con molta attenzione
ed eliminare l’ininfluente.
Non si tratta di prospettive, si tratta di selezioni.
È un po’ come cambiare casa:
l’importante è sapersene scegliere una con una stanza in più.