venerdì 17 settembre 2010

L'Incubo

Sono ancora a chiederti di poter entrare
Sono ancora a bussare alla tua porta
E' notte fonda, molto fonda
E so che sarà una notte lunga, se non mi aprirai

Era ancora giorno
(più che giorno, era ancora chiaro -come ci hanno sempre insegnato
un sole amaranto spingeva le sue ultime forze attraverso gonfie ed opache nubi di nord)
E una notte improvvisa, crudele è giunta

"S'è fatto sera", pensai, "come faremo ora?!"

(già, come faremo)

Ed è notte fonda
Ed è freddo e buio

E sono corso da te, senza fiatare, senza pensare
Senza avvisarti
Sono corso da te per paura
Di me

E busso alla tua porta "Fammi entrare! Ti prego..."
E sento che tu ci sei
Ma sei ancora distratta

Non eri lì, pronta, ad aprirmi
(ci hai messo un po', è chiaro)
E mi chiedi "perché?"

Ma cado inesorabilmente vinto
A terra

(si cerca il contatto con la terra in questi momenti, proprio come chi muore. Perché la morte è la più grande paura. E' una paura così grande che umanamente solo la terra -nostra Madre- ci può consolare)

E a terra resto immobile
In attesa di un'incantevole avvolgimento
Mi lascio lambire dalle Sue mani

(le Sue esili, impalpabili mani di umido spirito che ti abbracciano, ti avvolgono dappertutto, si fissano in te, nei tuoi vestiti, nella tua pelle, nei capelli, nella carne fin dentro le ossa...e per un po' rimangono)

E quando sento le Sue mani
Lasciare il posto alle tue
Più pesanti
Più umane
Capisco che sta iniziando ad albeggiare.

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