Ebbi paura di perdere anche la testa
quando tutto ciò che avevo visto e sentito
mi riempì così profondamente il cranio
e senza via di scampo
che la compressione sterilizzò la vibrazione
umana della e nella sensibilità.
Camminare in strade di asfalto
vuote di realtà, non sempre può essere
la soluzione migliore. E il contorno
della fredda nebbia autunnale non smuove
né lenisce la plasticità delle intenzioni.
Ci si affatica e si perde tempo, questa è la verità.
E più scorre, il tempo dico,
più scorre e più sale l’ansia di vivere
di esserci e di far vivere l’idea di noi
come significanti di qualcosa di vitale.
Ci vuole meno tecnologia e più ingenuità.
Ci vuole uno scuotimento neuronale.
Perforare la quotidiana staticità e arginarla!
Dovevo trovare una soluzione a quella staticità
aprire le finestre e ritrovarmi nudo
– sono un bambino, ora –
capire che il gioco della guerra prevede altre regole
differenti da quelle a cui ero abituato
per cui un soldato che sceglie la guerra
non può poi dirsi eroe perché ha perso
la sua umana identità per identificazione
con la sua oggettiva negazione.
Poesie di guerra
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