mercoledì 9 febbraio 2011

Riposo

C’era una sottile crepa nel muro di fronte a me, nelle vicinanze del telaio della finestra. La crepa assomigliava ad una S che fosse stata stirata e straziata verso l’alto, fino a renderla plasticamente deformata e in equilibrio con le venature di un fugace intonaco steso sul muro. In corrispondenza della pancia destra della crepa, a qualche centimetro di distanza l’intonaco bianco sporco era stato graffiato dallo spostamento di un qualche mobile e il canale che si era così creato giocava con i pochi watt di luce all’interno della stanza, a formare sterili ombre che la mia mente, in quel momento piena e pesante, prendeva e muoveva come una religiosa processione fino al confine con l’oscurità totale della fessura tra l’armadio e il muro. Mi parve di cogliere l’impulso incontenibile di piccole entità senza forma né colore, tant’erano piccole, verso la silenziosa immensità dell’oscurità.
Fui rapito da quel convulso coraggio che mi abbandonai alla stanchezza fisicamente sensibile e mi lasciai scivolare in un volo sospeso, immerso nel nulla attorno a me. Uscii da cotanta immonda materialità, da cotanta corrotta fisicità e potei percepire l’afflato di me salire verso un’eterea sensazione di pace. Mi fusi con l’aria attorno a me, che era dentro me, che era diventata me. Percepii la distanza dal mio corpo, da ciò che rimaneva di quel preciso assembramento di ossa e carne e da tutto ciò che sistematicamente mi trasmetteva. Salii nell’oscurità. Non esisteva il peso, non percepivo caldo o freddo, non avevo più corpo. Non c’erano rumori o suoni, non c’erano odori, sapori, nulla.

Solo catarsi.

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